Esclusiva. Negri: "Caro Livorno, spero di rivederti presto in Serie A"

15.11.2014 18:02 di  Gianluca Andreuccetti   vedi letture
Esclusiva. Negri: "Caro Livorno, spero di rivederti presto in Serie A"

Roma – Abbiamo avuto modo di incontrare Marco Negri, ex attaccante del Livorno nella fortunata stagione 2002-03, in occasione della presentazione della sua autobiografia, scritta a quattro mani con il giornalista Dario Benvenuti, dal titolo “Marco Negri, più di un numero sulla maglia”, Luglio editore, presso la sede dell’Atletico San Lorenzo, un’associazione sportiva dilettantistica della città di Roma, ed abbiano raccolto le sue riflessioni in un’interessante intervista, che ci ha visto spaziare tra calcio internazionale e calcio italiano, senza dimenticare il ricordo della sua positiva esperienza in maglia amaranto.

La tua immagine di calciatore in Italia è principalmente legata ad un Perugia neopromosso che, nella stagione 1996-97, non riuscì ad evitare il sedicesimo posto e il conseguente ritorno in Serie B, malgrado i tuoi gol e la nutrita presenza di elementi di un certo spessore in quella squadra (Bucci, Di Chiara, Materazzi, Allegri, Giunti, Rapaic, ndr). Oggi sarebbe difficile immaginare che una squadra come quella non riesca a salvarsi. Quanto si è ridotto il livello del campionato italiano rispetto a quindici o vent’anni fa?

“Rispetto ad alcuni anni fa, e in particolare a quando calcavo io i campi della Serie A, il livello del nostro massimo campionato si è ridotto in maniera considerevole. Questo è un fattore che si apprezza bene quando le nostre primissime squadre vanno a giocare in Europa. Non è un caso che i migliori giocatori del Pianeta non scelgano più l’Italia come approdo naturale per le loro ambizioni. Inoltre, si è scelto di non investire più come una volta nei settori giovanili ne’ a livello di risorse economiche ne’ a livello di risorse umane. Fare un campionato in cui le società non dispongono di ingenti capitali finanziari e non investono più come una volta sui settori giovanili, facendo dipendere i loro ricavi dalla sola cessione dei diritti televisivi, ha un impatto decisivo sul livello del nostro campionato”.

Ricordo in maniera nitida che il tuo contributo a quel Perugia, malgrado i 15 gol in 27 partite, sarebbe potuto essere ancora più ampio perché fosti messo fuori squadra per alcune settimane...

“Sì, è vero, pagai con l’esclusione dalla prima squadra, per alcune partite, l’ira del presidente Gaucci per la mancata conclusione del mio trasferimento all’Espanyol. Non dipese da me: io avevo voglia di confrontarmi con un nuovo campionato, ma furono le due società a non trovare l’accordo”.

Il calcio attuale propone una diversa interpretazione del ruolo di attaccante, rispetto ai tuoi tempi. Tu sei stato uno straordinario uomo d’area, forte fisicamente, capace di segnare in tutti i modi dall’interno dell’area di rigore, di destro, di sinistro, in acrobazia, di testa. Oggi, invece, assistiamo a una crescente rarefazione e ad un incremento dell’età media dei centravanti classici. Le punte pure vanno sparendo e gli allenatori sono sempre più propensi ad incrementare la quantità di trequartisti e mezze punte. Sono gli allenatori ad aver sminuito il valore delle punte pure o, trovandosi in assenza di materia prima, provano ad andare in gol con più elementi?

“Hai ragione. Non esiste più il bomber di area di rigore come accadeva ai miei tempi perché quello della punta centrale è un ruolo particolare, che andrebbe tutelato a livello di settore giovanile con allenamenti e allenatori specifici dei diretti interessati. Gli allenatori si sono adeguati: chiedono ai loro attaccanti di essere i primi oppositori delle azioni avversarie, si ingegnano per coinvolgere più uomini possibili nella cosiddetta fase offensiva e sanno in anticipo che, per preservare la lucidità dei loro uomini d’attacco, dovranno riservare a loro uno o due cambi a partita”.

Come va il tuo progetto di sviluppo della figura dell’allenatore degli attaccanti?

“Io ribadisco che il ruolo di attaccante è un ruolo particolare come lo è il ruolo di portiere per cui ritengo che l’attaccante abbia bisogno di un allenamento specifico, proprio come il portiere. Il mio progetto va benissimo e io ci credo tantissimo. L’ho proposto ad alcuni miei amici ed ex colleghi oggi allenatori, i quali sono rimasti in gran parte entusiasti. Spero di ricevere una chiamata per entrare a far parte dello staff tecnico di una squadra in qualità di allenatore degli attaccanti, in attesa di conseguire a Coverciano a mia volta il patentino da allenatore in prima”.

Tu che hai giocato all’estero, cosa pensi delle difficoltà delle squadre italiane nelle coppe europee?

“Varcati i confini nazionali, le nostre squadre più importanti scontano un gap di appetibilità nei confronti dei grandi calciatori che, con sempre maggiore frequenza, decidono di optare per altri campionati e una sostanziale insufficienza di investimenti nei settori giovanili. Da non sottovalutare è anche il fatto che incontrare in campionato tante squadre che giocano con tanti uomini dietro la linea della palla fa sì che i giocatori si abituino a giocare sottoritmo e si trovino a disagio in campo internazionale”.

Da ex calciatore, cosa pensi del 7 a 1 subito dalla Roma a Monaco di Baviera? A tratti è sembrato che quel risultato possa aver minato le certezze della Roma fin nelle fondamenta. Qual è la tua opinione in proposito?

“Non credo che lo scivolone subito dalla Roma contro il Bayern possa avere particolari ripercussioni a distanza di tempo: si è trattato di una brutta mazzata, anche se la partita non era stata preparata male con Totti a innescare Gervinho e Iturbe. Sinceramente, non so dirti a cosa sia stato dovuto: posso dirti, tuttavia, che subire troppi gol in avvio di partita ti può far perdere le coordinate del match ed è quanto è successo alla Roma. L’immediata reazione del pubblico deve essere un’ulteriore motivazione a non pensarci più”.

Che cosa pensi a proposito della corsa scudetto?

“Credo che nel campionato italiano vi siano due protagoniste chiare e definite, la Juventus e la Roma, anche se il divario tra l’una e l’altra è radicalmente diminuito rispetto all’anno scorso. Il Napoli potrebbe recitare il ruolo di terzo incomodo tra le due”.

In una lunga carriera come la tua, hai avuto allenatori di tutti i tipi: Clagluna quello a cui più sei rimasto legato dal punto di vista umano, Zaccheroni e Galeone i più preparati tatticamente, Sonetti quello a cui sei più grato per averti fatto esordire nel calcio che conta, etc. A proposito del piombinese Sonetti, ti soffermi nel tuo libro sulla carica e sull’energia che sapeva trasmettere prima delle partite. Una volta messa in campo la squadra, era davvero quel difensivista troppo spesso ingenerosamente descritto dai media?

“Secondo me, no. Ho avuto la fortuna di fare il mio esordio in serie B con lui, al termine del settore giovanile, quando avevo appena 17 anni. Giocavo nella posizione di ala destra e totalizzai in tutto 8 presenze tra campionato e coppa Italia. Quell’anno vincemmo il campionato di serie B e, sinceramente, non puoi vincere un campionato pensando solo a difenderti: è chiaro che poteva capitare che, con la squadra in vantaggio e a pochi minuti dal termine della partita, il mister tendesse a far assumere alla squadra un atteggiamento più guardingo. Lo ricordo come una persona correttissima, con il gruppo e con ogni singolo giocatore”.

Nel libro, vi sono almeno due aneddoti che ti legano a Gautieri, attuale tecnico amaranto, nell’unico tuo anno in Serie A con la maglia del Perugia. Carmine è stato l’uomo assist del tuo primo centro in Serie A, contro la Sampdoria, e il coprotagonista di un’involontaria zingarata, che lasciamo alla curiosità dei lettori. Che ragazzo era fuori dal campo?

“Carmine era ed è un ragazzo molto molto simpatico, estroverso e con la battuta sempre pronta: in campo, era un’ala destra alla vecchia maniera, dotata di buona tecnica. Ho rivisto tante e tante volte quel mio primo gol in serie A, ma, a distanza di più di diciotto anni, non ho ancora capito se il suo fosse un tiro in porta o un assist per me”.

Hai mai visto il Livorno quest’anno?

“No, mi dispiace. Non ho ancora avuto occasione di vederlo all’opera quest’anno, ma mi riprometto di farlo al più presto. Di sicuro, sarò allo stadio a Bologna (la città in cui vive, ndr) in occasione della partita di ritorno tra Bologna e Livorno, anche per salutare il mio ex compagno di squadra Carmine Gautieri”.

Livorno e Bologna sono reduci da un periodo di appannamento iniziale ma entrambe hanno saputo risollevarsi. Cosa pensi delle tue ex squadre? E, in particolare, la sterzata che il Bologna ha saputo dare al proprio cammino è esclusivamente figlia del cambio al timone della società?

“Assolutamente no. E’ sicuramente vero che l’assenza di un programma a lungo termine può essere fonte di distrazione e di preoccupazione per i giocatori, io stesso vissi una situazione di quel genere a Cosenza, ma dopo una retrocessione tecnico e squadra hanno necessità di resettare e di acquisire il passo del nuovo campionato. Durante la preparazione precampionato, si avvia un lavoro che ha necessità di essere perfezionato nel corso della stagione. Oggi, a Bologna, si avverte un certo entusiasmo in città. Credo proprio che Livorno e Bologna abbiano grossissime possibilità di tornare immediatamente in serie A”.

Da vero attaccante asso pigliatutto, nel tuo libro ti soffermi molto poco a parlare degli attaccanti che ti hanno fatto da spalla, con la sola eccezione di Gordon Durie ai Rangers…

“E’ vero, io sono stato un grande finalizzatore in area di rigore: molto spesso ci si dimentica degli attaccanti che fanno movimento e che, con i loro inserimenti, consentono agli altri di mettere a frutto la propria vena realizzativa”.

Ricordi che, al tuo fianco, vincendo la classifica dei cannonieri, Igor Protti eguagliò il record di Dario Hubner come miglior marcatore in tutti i campionati professionistici italiani? Cosa ti è rimasto impresso dell’attaccante riminese?

“Ho bene in mente quanto tu mi stai dicendo: nel finale della stagione, il titolo di capocannoniere di Igor Protti era diventato uno stimolo in più per il reparto d’attacco e per l’intera squadra, grazie anche al gioco offensivo voluto da Donadoni. Non scopro certo io le caratteristiche di Igor, era un piacere giocare con lui anche se, già allora, non era più un ragazzino: al di là delle sue arcinote caratteristiche tecniche, mi piace ricordare come il suo smisurato attaccamento alla maglia fosse uno stimolo per tutti i compagni di squadra, giovani e meno giovani”.

Cosa ricordi con più piacere della tua avventura livornese?

“Della mia avventura livornese, ricordo tutto benissimo. Ero rimasto senza squadra dopo aver trascorso a Cagliari gli ultimi sei mesi della stagione precedente (2001-02, ndr) ed arrivai a Livorno alla fine del mese di novembre: l’impatto che ebbi nella nuova realtà fu particolarmente positivo, con cinque gol nelle mie prime quattro apparizioni nel mese di dicembre (una tripletta al Cosenza e una doppietta al Bari) e otto punti raccolti dalla squadra. Anche grazie ai miei gol, nel giro di poche partite arrivammo molto presto a ridosso delle primissime posizioni della graduatoria; in una seconda fase, perdemmo lentamente quota in conseguenza di un’interminabile serie di pareggi. In Serie B, non puoi non vincere tante partite se vuoi essere promosso al termine del campionato”.

Alla fine di quella stagione arrivò Lucarelli e la società amaranto decise di tenere Danilevicius come vice Cristiano. Come andò quella vicenda?

“A fine stagione, la società decise di non esercitare il diritto di opzione che aveva sulle mie prestazioni malgrado i buoni rapporti che io avevo con tutti: sono cose che accadono, nel calcio. Quello di Livorno fu per me un semestre complessivamente molto positivo, ma non ti nego che mi avrebbe fatto molto piacere rimanere ancora un altro anno all’ombra dei Quattro Mori”.

Sai che nei prossimi mesi il Livorno compirà cento anni? Cosa ti senti di dire ai tifosi amaranto?

“Lo so perfettamente, mi sento di fare tanti auguri al Livorno calcio e ai suoi splendidi tifosi: sono convinto che città, squadra e tifosi sapranno vivere questo momento e, più in generale, il campionato in corso con grande entusiasmo, inseguendo un obiettivo che non sto qui a nominare. Ti dico di più, mi propongo simpaticamente come punta centrale in un eventuale “match del centenario”.

Nato a Milano il 27 ottobre 1970, Marco Negri è stato una punta centrale dalle non comuni capacità realizzative. Si è formato calcisticamente nel settore giovanile dell’Udinese nel ruolo di ala destra, debuttando in Serie B nella stagione 1988-89 con la maglia bianconera. Trasformatosi in punta centrale a partire dal 1990 sotto la guida di Adriano Buffoni, ha vestito nella sua carriera le maglie di Novara, Ternana, Cosenza, Bologna, Perugia, Glasgow Rangers, Vicenza, Cagliari e Livorno. La sua fama, nazionale e internazionale, è principalmente legata ad un intero quadriennio vissuto con la maglia dei Rangers, con la quale, in ordine di importanza, ha avuto modo di aggiudicarsi il titolo di capocannoniere del campionato scozzese con 33 gol in 29 partite, eguagliare contro il Dundee il primato di cinque segnature realizzate in una sola partita del campionato scozzese, debuttare in Champions League e in Coppa Uefa. In Italia ha siglato 16 gol in 39 partite di serie A con le maglie di Perugia, Vicenza e Bologna e 52 gol in 131 partite di serie B con le maglie di Udinese, Ternana, Cosenza, Perugia, Cagliari e Livorno. Ammonta ad 8 gol in 20 partite il suo bottino in maglia amaranto.