Bordocampo. Lasciamoli lavorare

21.04.2015 10:16 di  Emilio Guardavilla  Twitter:    vedi letture
Bordocampo. Lasciamoli lavorare
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© foto di Giuseppe Celeste/Image Sport

Livorno – I tre posticipi della 36esima giornata sono la conseguenza di due partite rinviate, per motivi di ordine pubblico, a Frosinone nella 29esima (la gara tra Frosinone e Latina con vittoria dei gialloblu è stata recuperata solo pochi giorni fa, ndr) ed a Varese in quella odierna. Per ovviare all’irrisolvibile problema delle frequenti gravidanze delle madri degli idioti, Frosinone e Varese sono toponimi non rappresentativi, la Lega di B rimpingua il programma della massima serie con Livorno-Frosinone, Latina-Catania e Varese-Avellino per ristabilire la continuità del campionato cadetto. Consapevoli che i fautori di questi scempi hanno i nostri stessi diritti civili anche se, in barba a un terzo millennio inoltrato, si comportano come trogloditi, ci aggiungiamo a trascorrere una domenica di buon calcio con il rammarico di appartenere ad una categoria sociale così screditata agli occhi del mondo. All’Ardenza il buon calcio è garantito da una partita di cartello delle zone alte della classifica che ci mette a confronto con la corazzata frusinate (10 punti nelle ultime 5 partite) oltre che con le nostre ataviche problematiche esistenziali. C’è da vincere per rimanere in corsa ma soprattutto per convincerci delle nostre potenzialità sino ad ora troppo castigate da prestazioni altalenanti nei risultati così come nel gioco. Ci sarebbe inoltre da riscattare con una prova convincente la partita dell’andata le cui 5 pere al passivo bruciano ancora nell’orgoglio oltre che azzerare ogni possibilità nel computo degli scontri diretti. Gli allenamenti mattutini di mister Panucci hanno scaturito un 3-4-1-2 con Belinghieri dietro alle punte e Luci alle panche, mentre il temuto undici di Stellone è imbastito con un centrocampo denso come il cielo sopra di noi e una sola punta di ruolo, quel Federico Dionisi che tanto ci ha fatto gioire quando vestiva di amaranto. L’assetto degli ospiti la dice lunga. Il primo tempo è a senso unico; Mazzoni è inoperoso eccezion fatta per un intervento di piede in anticipo sul tarantolato 18 gialloblu, che, evidentemente, ha qualche sassolino da togliersi dalle scarpe. Il Livorno conclude 6 volte, con poca precisione e meno fortuna; segnali positivi che fanno imbestialire Panucci e disperare gli sportivi più coinvolti, cioè tutti. Al 21° c’è da registrare l’infortunio di Siligardi che abbandona il campo in barella accompagnato dagli applausi e dai migliori auguri di pronta guarigione di tutto lo stadio. Il suo naturale sostituto rimane con il fratino, entra Moscati, e le quotazioni di mister Pauncci calano in maniera vertiginosa nonostante la squadra faccia la partita e il Frosinone no. Nella ripresa un paio di folate offensive degli ospiti ci ricordano chi siamo e dove vogliamo andare. Al 9° ci riprova Galabinov ma il portiere che nessuno immagina pernambucano, se non per la naturale avventatezza dei suoi interventi, salva capre e cavoli. Il doppio cambio Gemiti per Djiokovic e Vantaggiato per Belinghieri ridisegna la squadra ed il baricentro si sposta in modo definitivo in attacco. Manca solo il gol. Alla mezz’ora Zappino, un Dida di ultima generazione in versione ciociara, non frena lo slancio su un’uscita aerea e termina, con piedi e pallone, fuori area. Il signor Leonardo Baracani di Firenze pare non vedere né i piedi né il pallone e lascia correre scatenando l’ira funesta del Picchi. 5’ dopo stesso metro di giudizio per un contatto in area tra Zanon e Galabinov; la sua decisione è incongruente sia con la presunta simulazione dell’attaccante che con l’eventuale fallo del difensore e per tanto non accontenta nessuno, anzi. Nel recupero, 4’, si sveglia il Frosinone che grazie allo sbilanciamento offensivo del Livorno trova spazio e disattenzione nelle retrovie ma i due tentativi al 92° e al 94° non si concretizzano in una beffa che renderebbe il danno ancor più grave di quanto non lo sia. La domenica mattina, il pareggio ad occhiale della squadra del cuore non si augura nemmeno al peggior nemico ma tant’è. La classifica si muove, siamo sempre lassù; mancano ancora sei gare e nulla è perduto. E’ un fatalismo disperato quel sentimento meditato e fiducioso che ispira il “lasciamoli lavorare” sulla bocca di molti; che equivale a un ridere per non piangere nel cuore di molti altri.